
Bruno Bellocchi
Indice degli scritti
Il Formaggio
I Viaggi del Cuore
I Santini mai esistiti
I Panorami dell’Anima
Le donne
Una bella estate
Ancora viaggi
La Magia e Me
Una Bella Famiglia
La Primavera
L'Estate
L'Autunno
L'Inverno
La Musica e Me
La Pittura e Me
Vita in Villa
Donne
UOMINI​
​
Essere uomini non è cosa da poco. Tutti coloro che nascono con un gene XY sono geneticamente maschi ma, crescendo, l'ambiente, le propensioni individuali, zodiacali e famigliari, se non anche il carico delle precedenti vite che hanno formato quel Quid unico nello Spirito, ci preparano al cammino. Non è un caso che il mondo si divida, con scarse eccezioni, in maschile e femminile. Che si creda o meno ad un Dio creatore, privilegiando la Natura ed i suoi sistemi, è evidente che questa dicotomia è vincente per l'evoluzione della specie o per i destini finali delle varie ipotesi religiose. Detto questo e specificando che la ovvia complementarità non annulla la differenza, questa volta parlerò di uomini nella mia esperienza di vita. E'chiaro che il contesto sociale crea delle differenze ma non credo che esse siano tali da pregiudicare la sostanziale similitudine. La mia è stata una rigida educazione di buona borghesia ma ho più volte constatato una notevole vicinanza morale a quella operaia o contadina. Parliamo subito della parte etica che era demandata specialmente al padre. Era basata sull'esempio personale o di persone conosciute quando, a tavola, si commentavano fatti, avvenimenti e stili di vita.A noi ragazzi toccava soltanto ascoltare senza mai intervenire, cosa che, qualora lo avessimo fatto, avrebbe destato negativa meraviglia. Ma la cosa non succedeva mai. Si sentiva spesso parlare di onestà sincerità tolleranza cavalleria comprensione. Non in senso generale ma sempre riferite al singolo, come se queste qualità fossero un personale profumo dell'Anima. Le donne poi, madri, sorelle, amiche, aiutanti di casa andavano sempre rispettate, difese, aiutate con l'affetto e la riconoscenza a loro dovuti. Era, questo rispetto, un ringraziamento per la cura che si assumevano, spesso con dedizione e amore come nel caso delle donne della mia famiglia, ma sempre con l'attenzione verso il quotidiano lavoro, per consolarci con la loro presenza costante, spronarci nella nostra vita esterna ed infine addolcire le nostre amarezze con consigli o spronarci a migliorare con rimproveri.
C'era un lato della vita di una famiglia estesa come la nostra che suscitava una altezzosa riprovazione e che, pur non esente, ed allora addirittura esecrata, negli uomini, era per lo più appannaggio delle donne: le dispute intra familiari tra i vari rappresentanti con accuse, rivalità, gelosie. Tali comportamenti, da bambini, venivano ignorati con freddezza in modo che la cosa finisse lì; da grandi si trattava di atteggiamenti privi di educazione ed intelligenza da mettere in conto di presunzione ed ignoranza ed ugualmente spente (ma purtroppo spesso non era così e lo stile veniva umiliato e tradito) con uguale freddezza. Da parte mia il defilarmi da queste questioni ha assunto un tono più 'sapiente' ma rimane un fondo di pesante fastidio fors'anche un po''di classe'.
In casa nostra le religioni erano guardate con sospetto perché potevano veicolare atteggiamenti esagerati che spesso scivolavano nell'ipocrisia tartufesca. Questo non aveva nulla a che vedere con la valutazione marxista sull'oppio dei popoli che, per altro, spesso diveniva persecuzione da parte di una 'chiesa' senza Dio ma con riti un po' volgari puntati sul trionfo dell'Uomo che altro non era che il trionfo occhiuto e persecutorio di una ristretta Nomenklatura molto più intollerante e aggressiva, priva totalmente di quel contenuto antichissimo che nell'uomo aveva, ed ha, radici che affondano in Ere molto più antiche come il Neolitico e che hanno formato la nostra Anima. Diciamo che, con buona pace delle cattolicissime tradizioni della famiglia di mia madre, la religione, quella nostra cattolica, veniva semplicemente tollerata.
Comunque ci si teneva alla larga da preti e simili e da persone, specie donne, devote. Bollate da mio padre come 'santocchie'o, più nobilmente, traducendo dal francese, rane di acquasantiera.
Un altro genere di persone che, nella mia famiglia, stimolava insofferenza e freddezza, erano i politici, considerati tutti villani rifatti che del loro potere facevano mercimonio; oppure dei poveri di spirito che non avevano trovato la forza di una carriera 'a proprie spese' imprenditoriale o professionale oppure, fuori dall'arbitro borghese, dignitosamente operaia o contadina. Tutti questi erano veri mestieri da uomini e non da 'pagliacci parolai'. La virilità nell'uomo si misurava, oltre che dalla serietà nello studio e nel lavoro, anche attraverso la galanteria con le donne, la franchezza e l'amicizia fedele con gli uomini, l'allegria e la spontaneità con i coetanei, il rispetto e l'attenzione alle parole e gli atteggiamenti dei più maturi, alla affettuosa tolleranza con bambini ed anziani .
Assistetti appena quindicenne, di nascosto, alle dritte che mio padre dava a mio fratello che andava sposo a ventitré anni con una splendente diciannovenne. Diceva che le mogli devono essere sempre trattate con gentilezza anche quando hanno i loro periodi (questo lo capii dopo qualche anno) delicati. Anche sessualmente vanno maneggiate con cura senza mai confonderle con donne di strada. E poi vanno onorate, in senso biblico, almeno una volta alla settimana. Mi ricordo che il mio gagliardo fratello innamorato si fece una risata data la sua passione che lo avrebbe acceso più e più volte. Sorrise anche mio padre che disse: vanno onorate sempre anche quando sarai stanco, anche quando la tua giovane e bella moglie non sarà più tale. Il comportamento tra uomini comportava lealtà e chiarezza nell'esporre ed attenzione nell'ascoltare. Cose che venivano graduate a secondo dell'importanza di età del personaggio. Era ammesso, se non incoraggiato, il cosiddetto amico del cuore inserito in genere in un gruppetto di amici che formavano un clan, benvisto perché aiutava la socializzazione e rafforzava e proteggeva, se formato da ragazzi bene educati, dal mondo degli altri uomini che potevano essere assai duri nell'approccio, se non talvolta pericolosi. Era, questa abitudine del clan, e forse è ancora, una consuetudine antichissima che affondava le sue radici nel Paleolitico dei cacciatori. Si ammettevano tra amici del cuore affettuosità ed intimità ma scevre da sessualità. A questo proposito, l'omosessualità, secondo mio padre, andava valutata caso per caso con rispetto e tolleranza senza scandalizzarsi ed irridere, ma comunque veniva vista come una devianza che bisognava evitare. Già per gli anni '50 o '60 era un giudizio eccezionalmente liberale per un uomo nato nel 1891.
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, specialmente tra le donne, i discorsi tra uomini non erano, almeno per quelli della buona borghesia alla quale appartenevo, mai sboccati ma delicatamente e, di tanto in tanto, ironicamente allusivi di qualità sessuali proprie o altrui.
Il lavoro era la qualità considerata specifica dell'uomo, con lo studio in tutte le sue forme, certamente da affiancarsi al lavoro ma anche, eventualmente, per cultura e diletto personale. Il lavoro, all'esterno, veniva appaiato alla cura attenta della famiglia, allora per lo più numerosa. Non invadeva però il vero regno della donna madre, la casa e le sue esigenze, mentre, all'esterno l'uomo procacciava il denaro che bastava a sostentarla.
Soltanto in circostanze eccezionali si richiedeva l'intervento del padre. Questo doveva, allora, essere rapido ed efficace come nel caso di gravi vicissitudini, di malattie, morti o comportamenti eccessivi dei singoli. In questo caso l'uomo si affiancava alla donna formando una forza vincente nella protezione del bene comune.
Crescendo, il giovane uomo doveva imparare non solo l'etica dei comportamenti ma anche l'etichetta.
Quest'ultima, insegnata indifferentemente dai due genitori, non si fermava all'uso del corretto stare a tavola, in salotto o a scuola, ed, ovviamente, all'attenta igiene personale, si estendeva alla maniera di vestirsi con la conoscenza degli abiti e dei colori appropriati nelle diverse circostanze, ed all'atteggiamento generale verso gli altri con tutte le sfumature diverse verso le varie categorie di persone. Dico sfumature perché il concetto generale rimaneva sempre cortesia ed autocontrollo. Anche le donne dovevano seguire tali principi ma potevano aggiungere qualche variazione più leggera e sorridente o qualche allegra civetteria che all'uomo era preclusa. Se al tutto aggiungiamo una realistica pazienza verso la fallibilità umana, altrui ma non propria, abbiamo completato il bagaglio culturale che ci veniva consegnato per vivere al meglio il percorso umano nella vita, data per complicata e difficile, che soltanto con queste 'armi' poteva essere affrontata con la necessaria dignità . Oltre che dalla famiglia gli insegnamenti sulla qualità dell'essere uomini venivano reciprocamente confrontate e scambiate con i compagni di scuola, quelli più affini e con i quali si dividevano esperienze e giornate di studio e di svago. Ne ricordo tre intimissimi che, con me, facevano un quartetto di intelligenti e spiritosi giovani, famoso in città: Oscar tumultuoso Livio sottile politico, Tonio bello e accattivante che, con me, spigliato e curioso, creavano una perenne sinfonia di parole e gesti per interpretare il mondo che ci veniva incontro.
Più tardi, quando la mia vita mi ha portato lontano dalla mia famiglia, in senso geografico e culturale, ho incontrato uomini eccezionali con i quali ho intessuto un rapporto intenso che, su di una base simile a quella che avevo già appreso, mi hanno aperto nuove prospettive. Tra questi l'amico di tutta la mia vita che mi ha insegnato spontaneità e sincerità e che ancora oggi mi sorprende per la sua icasticita'di giudizio: Alessandro. Poi l'intellettuale serio e corretto che mi ha proposto il bene del silenzio attento: Nicolò. E ancora Marco e Bruno professionisti della psiche, di scuole diverse, con intelligenza, dottrina e cuore e Massimo, mio fratello, per signorilità e pazienza.
Tra gli uomini che hanno contribuito alla mia formazione,molto più anziani di me non posso non ricordare il grande glottologo ed archeologo Francesco Ribezzo, che insegnò a me ragazzino curioso e colto, la pazienza nella ricerca storica delle antiche civiltà, e il grande direttore d'orchestra che mi onorò della sua amicizia insegnandomi l'umiltà e la generosità nel darsi: Gianandrea Gavazzeni. Aggiungo i giovani amici e pupilli che ,apprendendo da me, mi insegnano il nuovo nella bellezza del rapporto di reciprocità tra Maestro e Allievo.
In ultimo non posso tacere della figura che ha plasmato la mia Anima ed addottrinato la mia ricerca sapienziale: colui che chiamo Il Maestro sorridente.
Forse è stato sempre al mio fianco nel sogno e nel pensiero, in spirito e, raramente in carne. Dopo averlo visto o ascoltato in sogno o nelle mie visioni infantili come un avo bonario e illuminato, lo incontrai a Praga nell'anno terribile della invasione sovietica. In una cattedrale chiusa dalla bieca ideologia comunista ma che, quasi per magia, trovai aperta per me che ero arrivato nella stupenda città portato in parte dalla stessa ideologia, ma in una forma umanitaria e solidale.
Sembrava vecchissimo, addirittura centenario nel suo incarnato bianco e trasparente. Mi parlò della Strada che porta alla Sapienza, mi incitò a percorrerla e mi mise a disposizione la sua affettuosa assistenza che avrei trovato rivolgendo 'in me' le domande a lui dirette. Così ho fatto e faccio da allora, in modo da fare sorgere, come la Tradizione vuole, il Maestro in me.